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Lo spazio dell'empowerment nella gestione del rischio

A ben guardare, la gestione del rischio richiede di fare empowerment a tutti i livelli, dalle persone alle organizzazioni, alla collettività più ampia. È così in qualsiasi ambito, dall’industria all’areonautica, alla sanità e via dicendo.

Gli operatori devono abbandonare l’idea tradizionale, radicata nel senso comune e diffusa, che tutto dipenda dalle persone. Da un lato questo può far sentire sgravati di responsabilità insostenibili. Dall’altro però demolisce false sicurezze e mette di fronte alla propria vulnerabilità. L’operatore ora si rende conto che non può fare affidamento sulla propria competenza e che, anche se è preparato e coscienzioso, commette comunque errori e corre il rischio di restare coinvolto in incidenti.

Una volta che gli operatori si sono resi conto che l’approccio centrato sulla persona non regge, devono affidarsi all’organizzazione. Per sentirsi sicuri non possono più fare affidamento semplicemente su se stessi, ma devono costruire assieme agli altri difese organizzative che li mettano in condizione di rischiare meno di essere coinvolti in incidenti.

In tutto questo hanno bisogno anche di cambiare il loro modo di guardare alla realtà. Analizzare le vulnerabilità del sistema e ideare difese richiede di andare oltre l’ovvio per cogliere le dinamiche profonde degli eventi. Il pensiero lineare, per cui l'incidente è legato all’errore e alla persona che lo commette, è semplice e intuitivo. Per ricostruire le dinamiche profonde bisogna invece essere capaci di distacco, razionalità e pensiero tecnico-scientifico.

Per gli operatori, che si tratti di medici, infermieri, piloti, addetti a torri di controllo, operai o altro, la transizione da un modo di pensare all’altro è impegnativa. L’empowerment è necessario per far sì che l’operatore superi il problema psicologico del senso di vulnerabilità, concepisca il proprio lavoro meno in termini individuali e più integrato nell’organizzazione, sviluppi capacità analitiche sui problemi di sicurezza.

Anche i manager hanno bisogno di supporto. Non possono più scaricare la responsabilità degli incidenti sugli operatori come facevano con l’approccio tradizionale. Ora devono dar fiducia agli operatori, a tutti gli operatori, e pensare a migliorare l’organizzazione. Siccome per esaminare le vulnerabilità e progettare e costruire difese serve il contributo di tutti, i manager sono chiamati a collaborare con gli operatori prescindendo dalle gerarchie. Se vogliono davvero costruire sicurezza, devono mettere da parte la classica gestione dall’alto e far leva sul potere con.

Affinché una realtà possa costruire sicurezza efficacemente e in tranquillità, è importante creare attorno un contesto culturalmente adeguato. Mass media, opinione pubblica, istituzioni dovrebbero condividere l’approccio sistemico-organizzativo, cosa non facile.

Il diritto, per fare un esempio, finisce spesso per essere un problema. Specie nei paesi a diritto formale, romano-germanico, le normative hanno preso atto della rivoluzione copernicana della sicurezza, riproponendo però in ultima analisi un approccio centrato sulla persona. Si dice che tutti in un’organizzazione devono contribuire alla costruzione della sicurezza, che dev’esserci un costante apprendimento organizzativo, col lavoro di analisi, progettazione e costruzione di difese. Tuttavia poi si fissano regole ben precise e si stabiliscono punizioni per le persone ritenute responsabili del mancato rispetto. Così facendo, il diritto finisce per ostacolare l’empowerment, rende più difficile una reale presa di coscienza e responsabilizzazione da parte dei soggetti interessati. Spesso ciò che si ottiene è che nelle organizzazioni ci si preoccupi di essere formalmente in regola, di evitare le sanzioni, non di costruire realmente sicurezza e migliorarla continuamente. Il problema non è semplice, perché il diritto, così com’è oggi, è fondato sull’idea di responsabilità individuale e non è facile ripensarlo.

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