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For a changing world

Il mondo sta cambiando. Stanno avvenendo trasformazioni che investono tutti gli aspetti della vita e sono mondiali. Sono legate in parte alle  nuove tecnologie della comunicazione, specie ai nuovi media, e alla globalizzazione, a quell'intreccio di trasformazioni cui la modernità sta andando incontro e di cui spesso si parla senza averne chiara nozione. Anche in passato l'umanità ha vissuto cambiamenti simili, ma non così rapidi.
Questi cambiamenti pervasivi e rapidi influiscono sulle nostre vite, più di quanto immaginiamo e spesso senza che ce ne rendiamo conto. Richiedono anche di ripensare il modo di portare avanti attività consolidate, come fare formazione e consulenza, gestire le organizzazioni, esercitare una professione, erogare un servizio, aggiornarsi, impostare l'istruzione, il marketing, la comunicazione.
Uno degli effetti più significativi dei cambiamenti che stiamo vivendo è il paradosso dei life skills. Le trasformazioni in atto richiedono che le persone abbiano certe abilità, d'altra parte lo sviluppo di queste abilità è ostacolato dalle stesse trasformazioni che le rendono sempre più indispensabili. Abbiamo bisogno di avere nuove menti, ma è  difficile avere nuove menti, paradossalmente per le stesse ragioni per cui ne abbiamo bisogno.
Il paradosso dei life skills ha serie ricadute concrete. Prendiamo il caso in cui in una azienda ci sono persone che si sentono impotenti,  sono deluse, scoraggiate, a volte si estraniano o diventano ciniche o rabbiose.
Persone in queste condizioni soffrono e al tempo stesso contribuiscono alle conflittualità in seno all'organizzazione e frenano le azioni di miglioramento. Le condizioni in cui versano sono problematiche per sé e per l'organizzazione. Riusciamo a sbloccare una situazione del genere, se nel personale sviluppiamo diffusamente skills di saggezza, in particolare l'abilità di distinguere il mondo com'è dal mondo come dovrebbe essere o vorrei che fosse e quella di conoscere il funzionamento reale delle cose, decifrare le situazioni e agire efficacemente.
Tuttavia sviluppare skills di saggezza nel personale di una azienda è tutt'altro che facile, proprio perché siamo alle prese col paradosso dei life skills. Se da un lato nelle organizzazioni è sempre più importante avere diffusamente presenti skills di saggezza, dall'altro le trasformazioni del mondo di oggi, attraverso una cascata di eventi che interessano le stesse organizzazioni, portano le persone ad avere sempre meno queste abilità. Occorrono perciò apposite strategie per accompagnare le persone lungo un cammino di ripensamento radicale, verso una presa di coscienza che è una rivoluzione copernicana, partendo dalle loro istanze, coinvolgendole e supportandole, anche a livello di gruppi di lavoro e di organizzazione.
Proviamo a riflettere su un'altra ricaduta concreta del paradosso dei life skills. Un manager che intende migliorare la qualità del lavoro di un team o di una organizzazione deve essere capace di complessità attribuzionale (attributional complexity). Non può restare ancorato a spiegazioni semplici e lineari, puntare il dito sulle persone, senza analizzare tutti i fattori situazionali che fanno peggiorare la qualità del lavoro e il loro intreccio. Solo così può sperare di incidere davvero e gestire il problema. Gli studi oggi considerano la complessità attribuzionale una componente decisiva della buona leadership.
C'è però un problema. Per sfoderare complessità attribuzionale quando siamo alle prese con un problema manageriale dobbiamo avere abilità di approccio scientifico alla vita, soprattutto distinguere tra scienza e senso comune e aver chiaro che le cose come ce le fa vedere la scienza possono essere totalmente diverse da come le pensiamo noi, anche se magari facciamo appello alla nostra esperienza. Ormai 25.000 studi scientifici condotti su circa 8 milioni di persone hanno dimostrato l'errore fondamentale di attribuzione, il FAE (Fundamental Attribution Error). Tendiamo a spiegare comportamenti e fatti sociali dando più importanza di quanta ne abbiano alle persone e sottovalutando il peso delle situazioni in cui le persone vengono a trovarsi. Per lo meno questo vale per le culture individualistiche, mentre nelle collettivistiche si tende all'errore contrario. 
Se abbiamo un approccio scientifico, sappiamo che la nostra mente sbaglia e la correggiamo. Diversamente la lasciamo nell'errore e non riusiamo a decifrare la complessità che c'è dietro a ciò che non ci soddisfa nel team o nell'organizzazione, col risultato che le nostre azioni per migliorare non saranno efficaci. Sono molti però i fattori che oggi spingono a non avere un approccio scientifico, arroccandosi in convinzioni di senso comune, tra cui la cultura democratica, i media e le nuove tecnologie della comunicazione. Anche qui, come per la saggezza, ci vogliono strategie adeguate di formazione e sostegno dei manager.
Il paradosso dei life skills è solo uno degli effetti interessanti prodotti dai cambiamenti del mondo di oggi. Per fare un altro esempio, siamo nell'era della cognizione distribuita. L'idea di cognizione distribuita è piuttosto semplice, quasi ovvia. Le nostre prestazioni mentali, i risultati che riusciamo a ottenere con le nostre conoscenze e il nostro lavoro mentale, non dipendono solo da noi, da quanto siamo capaci. Dipendono dall'interazione tra la nostra mente e il mondo circostante. Intorno a noi ci sono oggetti, strumenti, altre persone. A seconda che disponiamo o meno di un ambiente in grado di aiutarci e a seconda di come ci rapportiamo alle risorse di cui disponiamo, le nostre prestazioni variano, anche di molto.
Nonostante sia quasi ovvia, la nozione di cognizione distribuita nella tradizione scientifica si è affermata solo negli anni Novanta, grazie al lavoro di Donald Norman, che ha studiato come influisce sulle prestazioni il rapporto con le cose, e Edwin Hutchins, che si è interessato al rapporto con gli altri. Una delle ragioni per cui la nozione si è affermata in tempi recenti è che viviamo nell'era della cognizione distribuita.
Gli uomini hanno sempre utilizzato risorse ambientali per cercare di migliorare le proprie prestazioni, ma oggi le potenzialità della cognizione distribuita sono enormemente cresciute, specie per effetto dello sviluppo tecnologico, in particolare per le nuove tecnologie della comunicazione, a cominciare da Internet. Il web consente di accedere rapidamente a una mole incredibile di informazioni e conoscenze,  da quelle spicciole e banali a quelle tecniche, come le giuridiche, economiche, mediche, scientifiche o di altro genere. Internet ci consente anche di consultarci facilmente con altri a distanza. I software, a volte disponibili sul web, accanto a operazioni o calcoli relativamente semplici, ne consentono altri davvero impossibili per la nostra mente isolata.
Anche se le potenzialità della cognizione distribuita oggi sono enormi, le nostre prestazioni non migliorano come potrebbero. Barriere culturali spingono a sottoutilizzare le risorse disponibili fuori di noi. Ad esempio, medici, avvocati e altri professionisti, come pure impiegati o dirigenti, restano spesso ancorati a una visione delle competenze professionali che li porta a fare affidamento su ciò che hanno nella loro testa, sulla loro mente isolata, "disincarnata", come dice Norman. Anche chi usufruisce di servizi professionali tende a restare ancorato allo schema tradizionale, a evitare di darsi da fare in autonomia e ad affidarsi semplicemente all'esperto, anche perché incontra difficoltà e barriere sociali a fare diversamente. Questo comporta una modalità infantile di rapportarsi a professioni, realtà che forniscono servizi e istituzioni, in un mondo in cui essere più maturi e responsabili è possibile e sarebbe anche preferibile.
Paradossalmente una barriera è legata proprio alle nuove tecnologie che accrescono le potenzialità della cognizione distribuita. Ad esempio, l'uso delle nuove tecnologie stimola motivazioni intrinseche, cioè soddisfatte dal fare in sé, come la curiosità o il need for competence. Tuttavia queste motivazioni finiscono per non essere orientate verso lo sviluppo di abilità e conoscenze, ma verso il loisir, il passatempo, lo svago fine a se stesso, che il semplice uso degli strumenti di per sé può offrire. 
Oltre alle barriere che ci spingono a sottoutilizzare le risorse disponibili, c'è il grosso problema che tendiamo a usarle male. Spesso quando cerchiamo di dotarci di conoscenze di cui abbiamo bisogno non riusciamo a comprendere e a discernere, ricaviamo meno di quel che potremmo o ci lasciamo portare fuori strada, col che le risorse ambientali finiscono per risultare controproducenti.
Capiamo come mai la pratica dell'ICT in education, l'introduzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'istruzione, ha prodotto fino ad ora una sostanziale delusione. Ci si aspettava molto dalle LIM e dagli altri strumenti per insegnare e si è investito molto in vari paesi del mondo. Tuttavia passati i primi entusiasmi, le esperienze hanno deluso. Le ricerche scientifiche hanno messo in evidenza che limitarsi a introdurre le nuove tecnologie a scuola non porta vantaggi. Da una rassegna su 52.000 studi pubblicata nel 2009 da John Hattie risulta che l'introduzione delle nuove tecnologie a scuola ha prodotto un leggero peggioramento della didattica, non un miglioramento. Il punto è che, oltre a introdurre le nuove tecnologie, occorre trovare il modo di superare le barriere che il loro stesso uso genera e di sviluppare le abilità necessarie per usarle in modo proficuo.
Problema dei life skills e della cognizione distribuita sono solo esempi. Le sfide che i cambiamenti del mondo di oggi portano con sé sono molte e ognuna richiede specifiche risposte. C'è però un denominatore comune rintracciabile nelle diverse soluzioni ai diversi problemi: l'empowerment, il lavoro di  rafforzare persone, organizzazioni, comunità e renderle più capaci di padroneggiare le proprie faccende.
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L'empowerment è  qualcosa che accomuna le  risposte alle tante sfide che i cambiamenti del mondo di oggi pongono

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Empowerment. Che cosa vuol dire?

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Il libro di John Hattie che sintetizza i risultati di più di 800 metanalisi e 52.00 studi sulle nuove tecnologia a scuola
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