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Il paradosso dei life skills

dal libro Empowerment. Che cosa vuol dire?

Socializzazione e formazione delle nuove generazioni sono oggi sotto spinte contraddittorie: da un lato le trasformazioni sociali in atto richiedono che le persone abbiano certe abilità, dall’altro lo sviluppo di quelle abilità personali è inibito dalle stesse trasformazioni sociali che le rendono sempre più indispensabili [87]. E’ il paradosso dei life skills, di quelle abilità che da tempo anche gli organismi internazionali considerano essenziali per condurre una vita di qualità e essere in salute [88, 89, 90].

Il paradosso è frutto delle trasformazioni cui la modernità sta andando incontro con la globalizzazione. Non è legato tanto alle dimensioni della globalizzazione comunemente prese in considerazione (l’economica, la politica, la culturale), quanto ad altre di cui si parla meno, ma che sono altrettanto se non più incisive e pervasive: l’erosione delle tradizioni, l’incertezza, il cambiamento del sé e delle coscienze. Non è neppure immediato ricondurre il fenomeno alla globalizzazione, perché questa produce effetti a cascata e il paradosso dei life skills è il risultato della convergenza di vari effetti a vari livelli della cascata.

Occupiamoci di un’abilità che, tra quelle oggi oggetto di spinte contraddittorie, è una delle più importanti: l’approccio scientifico alla vita [91]. È un’abilità complessa che si può scomporre in varie sottoabilità. Si fa rientrare solitamente tra le abilità di apprendimento oggi ritenute importanti, assieme alla capacità di imparare ad apprendere, di giudicare, decidere e pianificare.

Essere capaci di approccio scientifico alla vita nel mondo attuale è indispensabile. Sono molti i fattori che spingono in questa direzione. Uno è l’erosione delle tradizioni, in corso sia nei paesi occidentali, dove interessa essenzialmente le tradizioni della vita privata (le altre sono già state erose durante i secoli della modernizzazione), sia nel resto del mondo, dove l’impatto è su tutte le tradizioni, comprese quelle religiose, economiche e politico-istituzionali. Si tratta di erosione, non distruzione. Le tradizioni sopravvivono, anzi a volte rifioriscono, ma perdono peso, smettono di essere vincolanti: da guide cariche di autorità tendono a divenire fonti di modelli comportamentali.

L’erosione delle tradizioni ci obbliga a prendere le decisioni da soli fidando sulla nostra ragione. Non potendo rifarci ai dettami della tradizione, dobbiamo ogni volta analizzare il problema decisionale: la situazione, la meta che ci si prefigge, i mezzi disponibili, i vincoli, le azioni, gli esiti possibili.

Al venir meno del supporto della tradizione si aggiunge il fatto che i problemi decisionali sono generalmente più complessi che in passato. Una ragione è il crescente peso dei risvolti relazionali. La perdita di potere delle autorità (legata in parte alla stessa erosione delle tradizioni), la diffusa democratizzazione, il policentrismo politico-istituzionale, i rapporti interculturali, lo sviluppo delle comunicazioni, spingono – a tutti i livelli, dalla vita privata alla politica internazionale – a cercare soluzioni capaci di mettere d’accordo più soggetti e portatori di interessi.

Il pensiero scientifico può essere di grande aiuto nel decision making razionale e può fare da valido sostituto della tradizione. Molte decisioni (potenzialmente tutte) possono usufruire di conoscenze scientifiche. La scienza tende a entrare sempre più nella vita, per cui non solo le decisioni di ingegneria o di medicina, ma anche di strategie politiche o manageriali o di vita affettiva possono essere prese tenendo conto di acquisizioni scientifiche. In ogni caso poi per decidere razionalmente è utile la logica scientifica, l’impostazione e il modo di procedere della scienza.

L’approccio scientifico oggi è indispensabile anche perché l’individuo è sottoposto a un sovraccarico di informazioni scientifiche. In passato queste informazioni circolavano esclusivamente tra scienziati e specialisti, oggi – specie tramite Internet, ma anche attraverso altri media – arrivano tranquillamente ai profani e ne condizionano il pensiero. Come osservano Leo Hendry e Marion Kloep [91], gli individui hanno bisogno di imparare a vagliare e a elaborare correttamente le informazioni scientifiche, altrimenti rischiano di esserne fuorviati, col che un potenziale beneficio si tramuta in danno.

Le trasformazioni del mondo di oggi, anziché favorire lo sviluppo dell’approccio scientifico alla vita, lo stanno ostacolando. Le agenzie culturali privilegiano l’informazione sulla conoscenza. Tendono a non approfondire e quindi a non astrarre, a non mobilitare principi di carattere più generale (i principia media di Mill) e procedimenti logico-formali per capire le cose. Anziché liberare le persone dall’abitudine al pensiero concreto, ve le ricacciano. I mass media operano evidentemente così. Da questo punto di vista i teorici della cultura di massa – Nietzsche e Thoreau in particolare – avevano in fin dei conti ragione. La superficialità dei mass media è dovuta principalmente alla particolare condizione in cui vengono a trovarsi giornalisti e altri professionisti del settore, caratterizzata da una serie di problemi ampiamente studiati: essendo sotto tensione hanno poche risorse per pensare, sono chiusi al pubblico e autoreferenziali, si preoccupano di restare neutrali e non invadere il campo degli esperti e via dicendo.

Non solo i mass media, ma anche la scuola va verso la superficialità. Qui forse la ragione principale è che le nozioni da trasmettere sono cresciute a dismisura e i programmi solitamente si sforzano di star dietro alla crescita della conoscenza da tramandare, anziché fare la scelta coraggiosa di limitare il campo e puntare sull’approfondimento e sulla formazione di abilità intellettive. Si tratterebbe di una scelta intelligente oltre che coraggiosa, dato che il problema dell’istruzione di oggi non è fornire saperi, che si rinnovano rapidamente e sono facilmente accessibili, ma creare le capacità di apprendere e gestire i saperi.

Le scuole sono spesso vincolate dal problema della concorrenza: i loro clienti (allievi e famiglie) comprendono più facilmente l’offerta di informazione che quella di conoscenza formativa, per cui chi dovesse fare scelte controcorrente nei programmi rischierebbe di essere penalizzato. Anche i governi spingono nella stessa direzione per ragioni concorrenziali: fanno a gara a chi riesce a produrre allievi apparentemente più preparati, invece d’interrogarsi seriamente sulle reali capacità che gli allievi hanno di affrontare i problemi che incontrano nel mondo di oggi.

Un altro fattore che impedisce lo sviluppo dell’approccio scientifico alla vita è la crisi della scienza. La ricerca scientifica avanza, forse più che mai, ma la scienza è socialmente in crisi, nel senso che incontra difficoltà a rapportarsi al pubblico dei profani. Giddens [92] osserva che il fatto che prima o poi sarebbe stata messa in discussione la fiducia nella scienza era implicito in questa stessa fiducia. La scienza moderna è divenuta socialmente credibile in quanto antitradizionale, antiautoritaria e basata sulla riflessione e sul confronto critico. Tuttavia anche la scienza è una tradizione autoritaria e nel momento in cui le tradizioni sono erose e si diffonde l’abitudine a confrontarsi criticamente su ogni cosa, perde credibilità.

L’uomo comune oggi stenta a dar per buone le conoscenze scientifiche senza confrontarle con ciò che personalmente pensa a riguardo e senza discuterle. Tende a discutere perché non lo trattiene più la riverenza per l’autorità scientifica e le implicazioni delle conoscenze scientifiche lo riguardano da vicino. Trascura però il fatto di non avere gli strumenti intellettuali per entrare nel dibattito scientifico. Non si rende conto che oltre a essere privo del sapere necessario, difetta di metodo e non ha neppure idee chiare su che cosa sia la scienza: ad esempio, non capisce come possa la verità scientifica essere verità senza essere verità o come la scienza possa dare risposte intelligenti e utili ai problemi anche senza fornire “ricette”, soluzioni immediatamente praticabili. L’uomo di oggi pretende di entrare nel dibattito scientifico senza essere scienziato e così finisce per fraintendere sempre più la scienza e per allontanarsene, quando dovrebbe addentrarcisi e capirla dai fondamenti.

I mass media amplificano la crisi presentando la scienza in ottica errata: ad esempio, mettono le acquisizioni scientifiche sullo stesso piano delle opinioni comuni o le banalizzano o le enfatizzano facendole apparire lontane dalla realtà. Favoriscono anche una visione superficiale e antiscientifica dei problemi, scoraggiando la tensione conoscitiva e diffondendo spesso spiegazioni ideologiche, mitiche e prescientifiche dei fatti. Hanno anche il potere di trasformare gli esperti che intervengono nei talk show e nelle altre trasmissioni in cattivi rappresentanti della scienza. Per non guastare lo spettacolo e per non rischiare di non essere più chiamati gli esperti si piegano alla regola della superficialità, dando un’immagine falsa della scienza. È il noto fenomeno ­dell’assimilazione, per cui l’uomo di scienza diventa simile a un giornalista.

Il paradosso dei life skills ci sfida e chiama in causa evidentemente l’empowerment. Per sviluppare un’abilità come l’approccio scientifico alla vita a dispetto delle pressioni contrarie, la scuola è chiamata a un lavoro centrato sull’allievo, che ci fa subito andare con la mente ai modelli delle pedagogie alternative. Invece di limitarsi a narrare conoscenze della tradizione, i docenti dovrebbero mettere al lavoro gli allievi e seguirli mentre si cimentano nell’approvvigionamento e nell’uso del sapere.

Non solo la scuola, ma anche i professionisti potrebbero favorire lo sviluppo dell’approccio scientifico. Ad esempio, un medico che fa lavoro di empowerment dei pazienti li inviterà a documentarsi correttamente e li aiuterà a giudicare, ragionare e decidere, favorendo così lo sviluppo di abilità di approccio scientifico.

Anche le organizzazioni possono diventare luogo di sviluppo di life skills. Ad esempio, i medici hanno modo di sviluppare abilità di approccio scientifico, se negli ospedali o nei servizi in cui operano si adottano nuove modalità di aggiornamento basate sulla cognizione distribuita. Invece di dipendere da esperti che narrano la scienza e insegnano le pratiche, imparano a consultare la letteratura scientifica, a discuterne assieme e a trarne indicazioni. Un impegno del genere è sicuramente un valido esercizio per sviluppare abilità di approccio scientifico.

La sfida del paradosso dei life skills è troppo seria per lasciarla cadere: se la perdiamo, rischiamo un declino fuori controllo, ma se la vinciamo, probabilmente costruiremo un mondo migliore.

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