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Un fattore soggettivo

che si può esaminare

Preso atto che decisiva è l’elaborazione soggettiva del ricevente, sulle prime viene da scoraggiarsi. Gli effetti delle comunicazioni pubblicitarie appaiono indeterminati, variano a seconda di come si configura il rapporto cognitivo tra messaggio e ricevente. Si direbbe che non abbiamo più speranza di fare previsioni, dato che tutto dipende dalle piste mentali che i riceventi seguono e queste sfuggono al nostro controllo. Il massimo che possiamo fare è confezionare il nostro messaggio in modo che secondo noi orienti il più possibile il ricevente nella direzione desiderata e sperare. Non è così. Ormai da decenni la ricerca scientifica ci ha messo a disposizione strumenti utili per analizzare l’elaborazione soggettiva e fare previsioni.

Le classiche ricerche di Howland e dei suoi collaboratori della scuola di Yale sono rigorose e alcuni risultati sono ancora validi. Era sbagliata l’impostazione teorica. C’era sotto l’idea semplicistica che la persuasione sia un processo meccanico e per questo quegli studi nonostante fossero metodologicamente ben condotti non riuscivano a spiegare molto di ciò che accade nella realtà. Se ricercatori del calibro di Howland hanno adottato un approccio errato non è stato solo perché risentivano delle idee dell’epoca. Determinante è stato quello che potremmo chiamare il sogno di Yale: la speranza di scoprire le leggi della persuasione e di ricavarne indicazioni precise per pianificare propagande e campagne pubblicitarie.

In effetti la meccanicità dell’approccio classico è tranquillizzante: se scopriamo come funziona la macchina, pilotiamo le azioni persuasive. Sulle prime invece scoraggia pensare che riceventi diversi possono elaborare per vie diverse la stessa inserzione o lo stesso spot, per cui la partita della persuasione è aperta e tutta da giocare.

La scoperta del peso che ha l’elaborazione soggettiva ha messo fine al sogno di Yale. Se ci riflettiamo, è molto meglio così. Era un’illusione, perché nella realtà la persuasione funziona in modo più fluido e complesso. D’altra parte, grazie agli studi sull’elaborazione soggettiva, possiamo lo stesso fare previsioni, col vantaggio che queste rispondono alla realtà, sono più affidabili, ci aiutano davvero nelle campagne.

La fine di un sogno

Il classico articolo

di Petty e Cacioppo del 1986

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Negli anni Ottanta sono stati elaborati modelli che individuano le modalità di elaborazione che contano nella persuasione: l’Elaboration Likelihood Model (ELM) di Petty e Cacioppo e l’Heuristic-Systematic Model di Chaiken. Seppure con differenze, entrambi riconoscono come decisiva la stessa dimensione nel processo di elaborazione.

Un ricevente può elaborare un messaggio analizzando diligentemente i contenuti o superficialmente, affidandosi a informazioni di sfondo. Petty e Cacioppo parlano di via centrale (central route) e periferica (peripheral route). Chaiken distingue elaborazione sistematica (systematic processing) e euristica (heuristic processing). In realtà questi sono due poli tra i quali l’elaborazione può collocarsi, spostata più verso l’uno o l’altro.

Ecco che l’elaborazione soggettiva smette di essere qualcosa di vago. Quel che dobbiamo fare e vedere come cambiano gli effetti del messaggio a seconda del grado di perifericità o centralità dell’elaborazione. Alcuni effetti generali sono noti dagli studi sulle differenze tra i due tipi di elaborazione. Ad esempio, sappiamo che un convincimento maturato per via centrale resta più a lungo in memoria ed è più probabile che si traduca in comportamenti o che un messaggio elaborato centralmente tende a suscitare più obiezioni e maggior resistenza. Nell’ Advertising Elaboration Test però ci focalizziamo su quello specifico messaggio, per fare una analisi tesa a stabilire se e come cambiano gli effetti prodotti a seconda del grado di centralità o perifericità dell’elaborazione.

Le due vie a confronto

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